Home ABSTRACT Malattie cardiovascolari e diabete, prevenirle è una questione di dieta.
0

Malattie cardiovascolari e diabete, prevenirle è una questione di dieta.

0

Il punto dal congresso americano dell’American Diabetes Association. La mediterranea si conferma la migliore. L’importanza di seguire i pazienti nel tempo. Fra le soluzioni app avanzate e appuntamenti telefonici con il coach

A tavola è possibile prevenire malattie come il diabete BOSTON – Nessun accanimento contro i singoli ingredienti, neppure i tanto vituperati grassi, considerati per anni come il diavolo. Ma un modello alimentare che, integrato con uno stile di vita sano, possa aiutare nella prevenzione delle malattie cardiovascolari e anche del diabete. Alla settantacinquesima edizione del congresso americano Ada (American Diabetes Association), in corso a Boston, si sono analizzati dei modelli salutari di dieta alimentare e – guarda un po’ – c’è naturalmente la dieta mediterranea. Non troppo diverse – se non altro come suggerimenti di massima – anche la DASH (Dietary approaches to stop Hypertension), disegnata per ridurre la pressione arteriosa e tutte le patologie ad essa correlate, e la OmniHeart, che punta alla salute del cuore.

La DASH. La DASH prevede più frutta e verdura, latte e latticini a ridotto contenuto di grasso, pollame, pesce, legumi, noci, cereali integrali, oli vegetali non tropicali. E poi meno sale, dolci, bevande zuccherate e carni rosse. Alcol con moderazione. La OmniHeart contempla  la sostituzione parziale dei carboidrati con proteine (di cui la metà di provenienza vegetale,) o grassi insaturi, soprattutto monoinsaturi. L’America, insomma, cerca di abbandonare il proprio stile alimentare, travolta dall’incontrollabile epidemia di diabete e obesità che ha spinto molti a dichiarare di aver vinto forse qualche battaglia ma di aver probabilmente perso la guerra alla malattia. L’approccio modello alimentare e stile di vita sano resta quello privilegiato e – nel caso dei molti che si trovano in una situazione di prediabete – l’unico che può far guadagnare qualche anno prima di arrivare ai farmaci che molti pazienti – sottolineava Joy Hayes, Health coach per il progetto Hearts Beat Back – sono ansiosi di evitare.

Seguire i gusti del paziente. Ovviamente è fondamentale l’approccio con il paziente, sia in campo alimentare che per quello che riguarda la spinta a muoversi. “Dobbiamo tenere conto dei suoi gusti – premette Alice H. Lichtenstein, direttore del laboratorio di nutrizione cardiovascolare della Tufts university di Boston – e del fatto che non ha senso parlare di singoli macronutrienti ma proprio di uno stile alimentare. È importante il modello, non il singolo componente della dieta ma bisogna dare delle indicazioni. E sfatare delle convinzioni come quella che una dieta a ridotto tenore di grassi sia automaticamente buona. Non è affatto vero: se si rimpiazzano i grassi saturi con carboidrati non ci sono benefici”.

I grassi saturi. I grassi saturi sono prevalentemente di origine animale e tendono a far innalzare i livelli di colesterolo nel sangue. Sono ricchi di grassi saturi carne, latte intero, formaggi, panna, burro ma anche olio di cocco e di palma. I grassi insaturi, invece, non fanno innalzare il colesterolo e sono contenuti negli oli di semi e di oliva, in noci, nocciole, pesce.

Alimentazione e pressione. “La maggior parte dei diabetici pensa agli effetti della dieta sulla glicemia – premette Lawrence J. Appel, direttore del centro Welch per la prevenzione, l’epidemiologia e la ricerca clinica alla Johns Hopkins Medical Institutions – ma è un falso problema. È più importante l’effetto del proprio modello alimentare sulla pressione sanguigna, che è causa principale di malattia nella popolazione generale e anche nei diabetici. I carboidrati non sono il diavolo, ma la dieta salutare deve avere pochissimi grassi saturi, molti alimenti con fibra e ricchi di micronutrienti. La DASH, per esempio, ha un po’ troppi carboidrati e un indice glicemico alto. Sostituirli in parte con proteine o grassi polinsaturi migliora il controllo della pressione e sembra che abbia effetti positivi anche sull’insulinoresistenza”.

Il coach al telefono. Quello che serve più di ogni altra cosa è enfatizzare l’importanza dello stile di vita sano: aderire ad un modello alimentare come quelli proposti, limitando i cibi trasformati troppo ricchi di sale e le bevande zuccherate, troppo ricche di calorie, nutrirsi quando si ha fame e fermarsi quando si è sazi, fare un regolare esercizio finisco, non fumare, perdere peso e mantenerlo, La proposta è proprio un’integrazione delle linee guida in campo alimentare, la dieta per il cuore o la pressione sono sponsorizzate dall’American Heart Association e dall’American College of Cardiology, con linee guida per l’attività fisica con tanto di coach telefonico che verifica settimanalmente se il paziente aderisce al programma. Il successo di questo modello è stato provato sulla popolazione di New Ulm, una zona rurale in Minnesota. In soli sei mesi è stato possibile raddoppiare il consumo di frutta e verdura, particolarmente basso, e far aumentare di un buon 30 per cento sia l’attività fisica della popolazione coinvolta che il ricorso a farmaci per la prevenzione, sottoutilizzati.

Attività fisica e app. L’attività fisica dovrebbe far parte integrale dello standard di cura per il diabete. Anche perché gli effetti benefici sono dose-dipendente. L’ideale è un esercizio aerobico di 50 minuti per tre volte a settimana, attività moderata-intensa, evitando di far passare più di due giorni senza muoversi. Poi non stare mai seduti per più di 90 minuti e provare esercizi di resistenza due volte a settimana, a meno che non siano controindicati. Il risultato è immediato: abbassamento del colesterolo LDL e della pressione arteriosa. Ma soprattutto serve consapevolezza da parte del paziente. Prima bisogna fargli capire cosa rischia, magari facendogli utilizzare il modello proposto dall’Aha per calcolare il proprio rischio cardiaco (ASCVD risk estimatore su tools. cardiosource. org oppure scaricando l’app) e poi seguirlo come un vero coach, per sostenerlo nelle sue scelte e spingerlo a continuare. A New Ulm ha funzionato. Credono possa funzionare anche altrove. E persino in Italia, dove però – ammette sconfortato il professor Andrea Giaccari, diabetologo al policlinico universitario Gemelli di Roma – seguire il paziente nelle scelte più corrette in campo alimentare e fare appunto il “coach”, l’allenatore che sostiene, vale, per il sistema sanitario, solo un euro e cinquanta. Neanche due caffè.

 

Fonte: La Stampa