Maschi panciuti, con un girovita da mappamondo e obesi. La colpa non sarebbe del troppo cibo, ma di quello che vi è contenuto: in questo caso,nientemeno che gli ormoni sessuali femminili.
Dietro all’epidemia di obesità nel mondo occidentale vi sarebbe dunque un colpevole che si chiama “estrogeno”. Ecco quanto asserito dai ricercatori australiani dell’Università di Adelaide.
James Grantham, insieme ai colleghi dell’UA, ha condotto una ricerca confrontando i tassi di obesità tra gli uomini e le donne di tutto il mondo con misure come il Prodotto Interno Lordo (Gross Domestic Product, in inglese) per determinare l’impatto del benessere di una nazione e i suoi cittadini sull’obesità.
Secondo Grantham, in Paesi del mondo occidentale come gli Stati Uniti, l’Europa e l’Australia, i tassi di obesità tra uomini e donne erano molto simili, e in alcune nazioni occidentali l’obesità maschile era maggiore dell’obesità femminile. Al contrario, nei Paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, la tendenza è inversa, ossia sono più le femmine a essere obese rispetto ai maschi.
Il professor Henneberg, coautore dello studio, ha sottolineato come sia importante comprendere questa differenza nei tassi d’incidenza dell’obesità tra il mondo occidentale e le nazioni sottosviluppate. Questo è presumibilmente dovuto proprio a tipo di dieta seguita nelle due diverse situazioni.
L’esposizione agli estrogeni, spiega ancora Henneberg, è stata riconosciuta causare un aumento di peso, principalmente attraverso l’inibizione della tiroide e la modulazione dell’ipotalamo – un meccanismo, per esempio, mediante il quale si possono accumulare sufficienti riserve di grasso per sostenere una gravidanza. Tutto questo è, tra gli altri, promosso da prodotti di soia che contengono xenoestrogeni. I ricercatori si dicono preoccupati che in società con alta saturazione alimentare di soia, come per esempio gli Stati Uniti, questo potrebbe star lavorando per “femminilizzare” i maschi. Una bella prospettiva, in sostanza.
Lo studio è stato pubblicato sulla versione online della rivista PLoS One.
La Stampa 17/06/2014