L’obesità è uno dei problemi sanitari globali più gravi: secondo dati dell’Organizzazione mondiale della sanità relativi al 2008, ne sarebbero affette circa 500 milioni di persone, che sono perciò esposte al rischio di altre gravi patologie concomitanti come il diabete.
Un nuovo articolo apparso su “Molecular Psychiatry” a firma di un gruppo di ricercatori dei National Institutes of Health degli Stati Uniti ha scoperto che all’origine dell’obesità vi sarebbe un’alterata attività della dopamina, un neurotrasmettitore che media i segnali cerebrali di ricompensa, motivazione e consolidamento delle abitudini. Proprio questa alterazione renderebbe il consumo di cibo più frequente e meno gratificante, determinando un eccesso di introito calorico che si protrae nel tempo.
“Il risultato sottolinea ancora una volta la complessità del fenomeno dell’obesità, e contribuisce a chiarire alcun aspetti fondamentali su come vengono elaborate le informazioni riguardanti il cibo in persone con diversa massa corporea”, ha spiegato Griffin P. Rodgers, ricercatore dei NIH e coordinatore dello studio. “Ciò potrebbe risultare molto utile per mettere a punto nuovi programmi per la riduzione del peso”.
Lo studio ha coinvolto 43 soggetti di entrambi i sessi con diversi valori di grasso corporeo, che hanno seguito lo stesso programma di alimentazione, sonno e attività fisica. I volontari sono stati sottoposti ad alcuni questionari per valutare la loro tendenza a iperalimentarsi in risposta agli stimoli ambientali e ad alcune scansioni di tomografia a emissione di positroni (PET) una tecnica di imaging che consente di evidenziare le zone di maggiore attivazione metabolica, e in particolare le zone del cervello in cui vi è una più intensa attività del neurotrasmettitore dopamina.
Dall’analisi dei dati raccolti è emerso che nei soggetti obesi l’attività dopaminergica era aumentata nella regione del cervello responsabile della formazione delle abitudini e diminuita invece nella regione che controlla i meccanismi di ricompensa.
Queste differenze indicano che le persone obese probabilmente tendono ad autoalimentarsi in risposta a stimoli della fame e simultaneamente ottengono dal cibo meno gratificazioni del normale.
“Non abbiamo ancora elementi sufficienti per dire se l’obesità sia una causa o un effetto di questi schemi di attività dopaminergica, ma possiamo ipotizzare che mangiare sulla base di abitudini inconsce invece che di scelte coscienti potrebbe rendere più difficile mantenere un peso corretto, specialmente considerando che gli stimoli alimentari sono praticamente ovunque”, ha commentato Kevin D. Hall, primo autore e dello studio e ricercatore dei NIH. “In praticali, uno stimolo come il profumo di popcorn in un cinema o in un centro commerciale potrebbe avere un richiamo molto forte per una persona obesa, determinando una risposta molto più intensa da parte della chimica del suo cervello rispetto a una persona magra esposta agli stessi stimoli”.
Le Scienze 10/09/2014