Pesce e mercurio: quelli di grossa taglia possono avere elevate quantità di metallo dannoso per le donne in gravidanza. Cosa fare? I consigli dell’Efsa
La quantità di sequestri di pesce di grossa tagliacome pesce spada, tonno, squali, smeriglio a causa di un’eccessiva presenza di metilmercurio aumenta continuamente soprattutto in Italia. Nei primi 5 mesi di quest’anno sono stati confiscati 40 lotti, e i numeri sono raddoppiati rispetto all’anno precedente. Il Fatto Alimentare si era già occupato di questo problema,focalizzando l’attenzione sulle modalità di queste allerta alimentari. Il problema riguarda in particolare il consumo da parte di bambini, anziani e donne in gravidanza. Il pesce infatti è una fonte preziosa di alimenti nutritivi utili per il nostro organismo e di omega 3 ,ed è per questo che viene considerato indispensabile all’interno di una dieta equilibrata. Il pesce però è il tipico esempio di alimento “a doppio taglio”, perché è un’eccellente fonte di acidi grassi omega-3 e di altri nutrienti, come lo iodio, essenziali per lo sviluppo intrauterino e in particolare del sistema nervoso. Nello stesso tempo è un accumulatore di contaminanti ambientali, in primo luogo di metilmercurio, ma non solo, ritenuti dannosi per lo sviluppo del sistema nervoso.
Il pesce che arriva sulle nostre tavole è controllato dai veterinari del Servizio Sanitario Nazionale e deve avere requisiti sanitari in regola con le normative europee, considerate molto severe e continuamente aggiornate dall’Efsa. Tuttavia è ragionevole chiedersi se una donna che aspetta un bambino mangiando più pesce in modo da incrementare la quantità di omega 3 non arrivi a superare la “soglia” tollerata dall’organismo per l’assunzione dei altri contaminanti. Il metilmercurio e altri inquinanti, al contrario di pesticidi o additivi, sono nell’ambiente e la loro presenza (anche se in tracce) nel pescato è difficilmente evitabile. A questo punto si pone la domanda se mangiare spesso pesce può portare ad un pericoloso bioaccumulo nell’organismo di questi composti chimici presenti in “tracce”.
Il problema è stato esaminato in undocumento dell’Istituto Superiore di Sanità del 2012. Nel parere sul pesce del 2005, l’EFSA conclude dicendo che il contenuto di nutrienti e di contaminanti non è sostanzialmente diverso fra il pesce pescato e quello allevato: mentre il primo bioaccumula gli inquinanti attraverso l’ambiente, il secondo bioaccumula attraverso i mangimi convenzionali, composti da piccoli organismi marini. Una soluzione potrebbe essere quella di utilizzare negli allevamenti mangimi basati su ingredienti vegetali: si tratta di un percorso interessante per ridurre il bioaccumulo di contaminanti mantenendo intatto il valore nutrizionale, anche se ad oggi è poco utilizzato.
L’altra questione riguarda le dimensioni del pescato. I grossi predatori (tonno, pesce spada, smeriglio…) tendono ad accumulare più metilmercurio, mentre i pesci grassi come l’aringa, tendono ad accumulare più facilmente contaminanti liposolubili (come diossine e policlorobifenili). Il salmone presenta le caratteristiche di ambedue le categorie “a rischio”, essendo di medie dimensioni ed avendo una quantità elevata di grasso. Per contro va ricordato chele specie classificate come “grasse” sono un’eccellente fonte di omega 3.
«Una recentissima valutazione dell’EFSA del 2014– spiega Alberto Mantovani tossicologo dell’Istituto superiore di sanità – concentra l’attenzione sugli omega3 e sul metilmercurio, essendo il pesce la fonte più importante nella dieta dell’uomo. Il documento ritiene che un consumo di pesce pari a 3-4 porzioni alla settimana durante la gravidanza, possa avere effetti benefici sullo sviluppo del sistema nervoso embriofetale ed è sicuramente raccomandabile consumarlo. Lo stesso discorso vale per un consumo sino a 2 porzioni la settimana nella popolazione generale, dati i benefici effetti dell’assunzione di omega-3 sul sistema cardiovascolare. Per quanto riguarda il metilmercurio – prosegue Mantovani- considerando le quantità nel pesce consumato in Europa, le 3-4 porzioni a settimana non rappresentano un rischio, anche se tuttavia è opportuno non superare questo livello di assunzione medio. Secondo l’Efsa un consumo più alto non apporta maggiori benefici. Vale la pena aggiungere che è sempre opportuno variare la tipologia, approfittando della varietà presente in pescheria, e magari focalizzando l’attenzione sulle specie di pesce cosiddette povere».
Il Fatto Alimentare 29/07/2014