Livelli più bassi di vitamina D si correlano con un più elevato rischio di decesso per malattie cardiovascolari e tumori. Basta questo dato, emerso da una ricerca apparsa sul British Medical Journal che ha preso in esame oltre 26.000 persone aggregando i risultati di otto diversi trial clinici, per dare ragione dell’attenzione che la scienza presta oggi a quella che, più che semplice vitamina, andrebbe considerata un vero e proprio ormone. E’ quanto pensa Maurizio Cutolo, docente di Reumatologia all’Università di Genova e presidente dell’Eular (European League against Rheumatism). Sono almeno quattro, secondo gli ultimi studi, le funzioni che la vitamina esplica nell’organismo umano. Oltre a l’assorbimento e l’uso del calcio a livello del tessuto osseo, la vitamina D è implicata nella prevenzione e protezione da infezioni croniche come la tubercolosi, di alcune forme di cancro come quello della mammella, della prostata e dell’intestino, addirittura di alcune malattie reumatiche autoimmuni, come l’artrite reumatoide. “L’azione protettiva dell’ormone D si esercita anche nel campo dei tumori – fa notare Cutolo. Questa sostanza in concentrazioni corrette, sul fronte dei tumori, previene e limita nei tessuti affetti da infiammazione cronica la sintesi di ormoni estrogeni locali, che sono causa di mutazioni cellulari cancerogene e crescita non controllata di cellule tumorali. Inoltre esercita sulle cellule immunitarie un’azione soppressiva, molto simile a quella che svolge il cortisone. Quindi, la presenza di bassi livelli di vitamina D nel sangue insieme alla presenza di altri fattori di rischio per l’autoimmunità, rappresenta una condizione favorente lo sviluppo o la gravità di malattie come l’artrite reumatoide, il lupus eritematoso e molte altre”.
Il Secolo XIX del 14 luglio, pagina 13