California Sport & Fitness – novembre 1997
La popolazione americana sta diventando sempre più grassa.
Il paese è affetto da un’epidemia di obesità. Nel 1990 un quarto della popolazione era obesa, ora siamo arrivati ad un terzo. Stiamo parlando di 60 milioni di persone.
Decine di milioni di persone spendono 33.000 miliardi all’anno nel business del dimagrimento, ma la maggior parte delle persone che, completando un programma di dimagrimento, perdono circa il 10% del loro peso corporeo, ne riacquistano due terzi entro l’anno e praticamente recuperano tutto il peso perso entro 5 anni, spesso anche con gli interessi.
Sono soprattutto le donne a mettersi a dieta: nove donne su dieci hanno cercato di perdere peso più volte nella loro vita e questa fluttuazione di peso definito yo-yo aumenta il rischio di malattie metaboliche e cardiovascolari.
Quasi tutte le diete sono basate su una restrizione calorica, ma quasi tutte le diete a lungo termine sono destinate all’insuccesso.
Un paio di anni fa l’ “Istituto di Medicina” ha rilasciato questa dichiarazione : “Malgrado gli sforzi per migliorare l’efficacia dei trattamenti per l’obesità non sono emersi metodi che offrono una reale possibilità di perdita di peso a lungo termine, eccetto che l’intervento chirurgico per i grandi obesi”.
Ma perché le diete ipocaloriche non funzionano?
La teoria dell’apporto calorico ha imperversato negli ultimi decenni da quando Neuburgh e Johnson dell’Università del Michigan hanno proclamato nel 1930 che l’obesità non è dovuta ad un deficit metabolico, ma ad una dieta troppo ricca in calorie.
E’ semplice: se una persona ha un fabbisogno calorico di 2.500 calorie e ne consuma, alimentandosi 3.000, le 500 in più al giorno si accumulano sotto forma di grasso, viceversa se ne consuma 2.000, le 500 in meno comporteranno una perdita di peso dovuta all’ossidazione del grasso corporeo per supplire al deficit energetico. Ma le cose non stanno proprio così.
E’ esperienza comune che abbassando le calorie, all’inizio si perde peso, poi ci si stabilizza, questo perché il nostro organismo ha la capacità di adattarsi sia in caso di aumento di apporto, consumando di più, che in caso di diminuito apporto, abbassando il proprio metabolismo.
Addirittura se la dieta ipocalorica è prolungata, il nostro organismo tende a conservare il grasso corporeo considerandolo preziosa fonte di energia per “tempi duri di carestia”.
E così ci mangiamo muscolo ed in proporzione siamo più grassi. L’attività fisica in parte limita questo fenomeno, sia utilizzando direttamente i grassi a scopo energetico, sia stimolando le masse muscolari che vengono così conservate.
E’ un po’ come se il nostro organismo dicesse: “Beh, visto che questi muscoli mi servono, vediamo di conservarli”.
Probabilmente il nostro organismo pensa che se stiamo correndo è perché stiamo cacciando per procurarci il cibo e quindi abbiamo bisogno di muscoli forti e veloci e che prima o poi noi ci procureremo del cibo e quindi non si preoccupa di abbassare il metabolismo basale; non pensa certo che siamo così stupidi da metterci a correre consumando calorie preziose in assenza di cibo disponibile.
Ma nei campi di concentramento dei Nazisti erano tutti magri!
Non andiamo a tirar fuori situazioni estreme: è ovvio che a 500 calorie e anche lavorando, dopo essersi mangiato i muscoli l’organismo riconosce i “tempi duri” ed usa tutto il grasso di riserva cercando di preservare il trofismo degli organi vitali ed è altrettanto vero che tutti i reduci dei campi di concentramento sono successivamente diventati obesi avendo ridotto al livello minimo il loro metabolismo.
E’ vero altresì che ci sono persone che mangiano molto e non ingrassano e altre che appena mangiano un po’ di più si gonfiano come dei palloni.
La scienza dice che sono differenze del metabolismo basale e che certe persone sono capaci di disperdere sotto forma di calorie il surplus energetico, ed altre invece assimilano tutto.
Ma non si riesce a trovare la causa per questa spiegazione: maggior presenza di grasso bruno (grasso termogenetico che permette di mantenere la temperatura corporea negli orsi in letargo) con grandi capacità di ossidazione dei grassi, maggior attività tiroidea, ecc., ecc…..
Ancora non si sa il perché!
Nella mia esperienza, cercando di fornire il preciso quantitativo calorico ad atleti d’èlite, li ho sottoposti alla misurazione del metabolismo basale presso l’Ospedale di Cremona, nel reparto di alimentazione parenterale, dove esistono apparecchiature sofisticatissime in grado di determinare con precisione il metabolismo di base in persone che devono essere alimentate artificialmente e che quindi devono avere un apporto preciso di nutrienti e calorie per non andare in catabolismo.
Devo dire che i risultati, comparando atleti più o meno della stessa taglia, davano più o meno livelli uguali di metabolismo basale, pur essendoci invece nella realtà assunzioni notevolmente differenti per il livello calorico che facevano ritenere alcuni con metabolismo veloce ed altri lento. Cosa vuol dire questo?
Le interpretazioni possono essere tante. Innanzi tutto la prova del metabolismo basale è in una situazione standard, ovverosia sdraiati e a riposo, invece nella vita quotidiana anche se si può fare lo stesso mestiere od attività sportiva, dipende da come uno si comporta: c’è l’impiegato che si siede alla sua scrivania e non si muove più e quello che invece scalpita, si alza ogni cinque minuti.
E’ ovvio che quest’ultimo nell’arco della giornata avrà consumato più calorie. Ma non può essere solo questo. Molti di noi hanno senz’altro sperimentato la sensazione di sentirsi particolarmente gonfi dopo un certo pasto accorgendosi che certi cibi danno un maggior senso di “pesantezza”.
Ippocrate stesso si era reso conto che “alcuni individui non tolleravano determinati alimenti che altri utilizzavano senza subire alcun danno”. Il padre della medicina fu il primo, per esempio, a parlare di “reazione allergico-intolleranti” al latte, che si manifestavano con disturbi digestivi e orticaria, tanto che affermò “lascia che il cibo sia la tua medicina e che la tua medicina sia il cibo”, che significa “curati con una alimentazione basata sui cibi che ben tolleri e mantieniti in salute consumando quegli stessi cibi”.
Ma questo cosa ha a che fare col soprappeso?
Abbiate pazienza e proseguite nella lettura.
E’ generalmente accettato che tutti i cibi consumati sono frantumati dagli enzimi digestivi in aminoacidi, acidi grassi e zuccheri semplici, e le particelle non digerite vengono escrete. Comunque alcuni ricercatori hanno trovato tracce di proteine alimentari quali quelle delle uova di gallina o del latte di mucca nel latte umano, dimostrando così chiaramente che quei cibi possono sfuggire alla completa digestione ed entrare nell’intestino sottoforma di macromolecole. Queste macromolecole possono incunearsi nei villi dell’intestino, soprattutto nelle cripte e ad una certa concentrazione possono attraversare l’intestino e raggiungere il torrente circolatorio tramite l’allargamento delle giunzioni intercellulari, causato dalla reazione infiammatoria provocata a sua volta dalla attrazione dei neutrofili nel lume intestinale nei confronti della sostanza intollerata.
Le macromolecole una volta entrate nel sangue possono essere trasportate in ogni parte del corpo e qui possono essere attaccate dai neutrofili che si comportano come il Terminator 2 del film di Schwarzenegger, facendo crescere delle braccia (pseudopodi) in grado di inglobare la sostanza nemica (fagocitosi).
Ma quando questa è troppo grande per essere fagocitata, ecco che il neutrofilo libera all’esterno le sue armi chimiche causando così un’infiammazione locale.
Se il rene è l’organo bersaglio ecco che la diminuita produzione di urina si traduce in ritenzione idrica e questa è riconosciuta come eccesso di peso.
Questo effetto è potenziato dal rilascio del Fattore di Necrosi Tumorale Alfa (TNFa) che induce insulino resistenza ed un’alterata selezione dei cibi in favore dei carboidrati.
La maggior parte del sovrappeso della gente è formato sia da grasso che da acqua, ma la componente idrica è spesso non considerata.
E’ un dato di fatto che le persone in sovrappeso non vadano spesso in bagno e spesso queste sono le stesse persone che si gonfiano dopo il pasto, il cui peso si impenna subito alla sospensione di una dieta e che acquistano un chilo o più durante la fase premestruale.
L’intolleranza alimentare induce questo sovrappeso tramite la ritenzione idrica dovuta all’infiammazione renale e agli effetti del TNFa.
Il TNFa stimola lo stoccaggio del glicogeno nelle cellule epatiche. Normalmente quando la glicemia si abbassa il fegato la riporta a livello liberando il glucosio dalle sue riserve di glicogeno.
Ma il TNFa sembra avere le chiavi del magazzino e l’organismo in sua presenza non può attingere alle riserve di glicogeno e così viene maggiormente stimolata la sensazione di fame per i carboidrati per alzare la glicemia.
E questo meccanismo si ripete continuamente perché il magazzino continua a rimanere chiuso.
Il sovrappeso induce insulino resistenza e favorisce la lipogenesi e diminuisce la lipolisi ed il circolo diventa vizioso.
Eliminando i cibi intolleranti si ha in poco tempo una eliminazione dei liquidi in eccesso ed un miglioramento del rapporto massa muscolare e tessuto adiposo. Più muscoli abbiamo, più alto è il nostro metabolismo, infatti il muscolo è un tessuto metabolicamente attivo al contrario del grasso.
In uno studio condotto dalla “Associazione di Ricerca Intolleranze Alimentari” sono stati valutati 11 atleti (5 maschi e 6 femmine) giocatori di pallavolo a livello agonistico. Dopo 3 mesi di dieta rispettosa delle intolleranze alimentari ma a contenuto calorico libero (e quindi spesso ipercalorica), si è avuto un aumento della performance muscolare documentato da un aumento del 5% di attivazione neuromuscolare ed una riduzione globale del 4,6% di massa grassa.
La riduzione di massa grassa è stata nettamente superiore alla perdita di peso confermando così un aumento della massa muscolare.
Ma allora se le calorie non contano, non contiamole più!
Fosse vero!?!?