Nei giorni scorsi è stato presentato un documento internazionale dalla World Allergy Organization che mostra come in tre categorie di persone l’impiego di probiotici potrebbe aiutare per la prevenzione delle allergie cutanee. Sono le donne in gravidanza ad alto rischio di allergie nei loro figli, le donne che allattano bambini ad alto rischio di sviluppare allergie, i bambini ad alto rischio di diventare allergici. Ma sembra proprio che si tratti solo di un possibile esempio, che spiega i motivi dell’attenzione della scienza a questo ambito. Secondo Lorenzo Morelli, preside della Facoltà di Scienze agrarie, alimentari ed ambientali dell’Università Cattolica di Piacenza, “oggi sappiamo come l’impiego di particolari batteri probiotici abbia portato miglioramenti nelle persone che soffrono di sindrome di colon irritabile (la classica colite) e addirittura per gli anziani che si sottopongono alla vaccinazione antinfluenzale. E’ dimostrato che l’associazione con probiotici può migliorarne l’impatto sulle difese dell’organismo”. Ma sono davvero tanti gli ambiti di studio in cui ci si sta esercitando, cercando di trovare il ceppo batterico giusto per ogni specifico problema. Per il diabete, ad esempio, uno studio apparso su Nature e condotto all’Università di Goteborg dimostra come, nei diabetici, la composizione dei batteri che vivono nell’apparato digerente si modifichi rispetto alle persone sane e come variazioni siano osservabili anche quando la glicemia si alza di colpo. Le vie della flora intestinale, insomma, sono davvero infinite.
Il Secolo XIX del 9 febbraio, pagina 1