Dott. Massimo Spattini – Dott. Claudio Lombardo
OLYMPIAN’S – febbraio 2012
Lo stress protratto è senz’altro il fattore più importante nello sbilanciamento che si crea negli anni a livello metabolico ed ormonale e che favorisce il processo di invecchiamento e di modificazioni della composizione corporea (cioè meno muscoli più grasso) che, quasi sempre, si accompagnano col passare degli anni. È stato stimato, con approssimazione per difetto, che circa il 50-70% delle malattie sono collegate allo stress. I ricercatori ritengono che lo stress rivesta un ruolo principale nel manifestarsi della malattia. Le normali cause di malattie, come i microrganismi, i veleni, i disordini metabolici, etc… sono necessari ma non sufficienti. Per esempio, per contrarre un raffreddore il virus che causa il raffreddore deve essere presente nell’ambiente ed essere inalato nel tratto respiratorio ma non tutte le persone che lo inalano sviluppano il raffreddore. La possibilità che il virus possa attecchire e mettere radici nei tessuti dipende dallo stato del terreno cioè del sistema immunitario che è strettamente collegato allo stress. Numerose ricerche e studi hanno supportato l’idea che uno stress eccessivo possa portare ad un malfunzionamento del sistema immunitario rendendo le persone più sensibili a sviluppare malattie a causa di fattori ambientali ai quali si è normalmente esposti e che, in situazioni di buona funzionalità del sistema immunitario, non sfociano in malattie. Il termine stress si riferisce alla risposta del corpo al fattore stressante che è lo stressor. Lo stressor è l’evento che provoca lo stress che è una reazione dell’organismo a qualcosa che altera il suo equilibrio. Ogni cosa che stimola un cambiamento o un adattamento può essere uno stressor. Lo stressor può essere un fattore esterno reale o semplicemente percepito tale, o interno, come eccessivo perfezionismo, senso di colpa, aspettative irrealistiche, paure, gelosie, desideri inappagabili etc…. Fondamentale è, appunto, la percezione che si ha dello stress non tanto lo stress in sé infatti lo stesso fattore stressante può generare diversi livelli di stress a seconda delle persone che lo vivono. La risposta allo stress è mediata dal sistema nervoso ed endocrino. Le ghiandole surrenali rilasciano gli ormoni noradrenalina e cortisolo. C’è anche un’attivazione del sistema nervoso che, insieme agli effetti degli ormoni dello stress, predispone l’organismo alla reazione. Inizialmente la risposta allo stress era stata chiamata “combatti o scappa” perché, appunto, è una risposta finalizzata a predisporre l’organismo ad attingere alle proprie risorse per affrontare o scappare via da uno stressor che rappresenta una minaccia per la vita. In teoria, una volta che lo stressor è stato sconfitto o dominato, si attraversa una fase di profondo rilassamento e, per questo, la giusta alternanza tra determinati stress stimolanti e i successivi periodi di rilassamento, ha un effetto positivo sull’organismo. Un po’ come una macchina in rodaggio che ogni tanto va portata al massimo dei giri ma poi bisogna tornare a regimi bassi per fare in modo che essa duri nel tempo con ottime prestazioni. Se invece si tirassero sempre tutte le marce, in breve tempo, si verificherebbero problemi così come se, viceversa, si andasse costantemente piano poiché poi, all’occorrenza, la macchina non sarebbe in grado di effettuare prestazioni ottimali. È pur vero però che nella società moderna gli stressor sono così tanti (ed alcuni anche al di sotto del nostro livello di consapevolezza ) che non ci si rende conto della loro presenza la quale, comunque, porta ad un sovraccarico di stress nel tempo. Praticamente ci si ritroverebbe nella condizione di non essere mai in grado di bloccare le risposte allo stress ed entrare nella fase di rilassamento. Gli effetti psicologici e fisici provocati dallo stress sono concepiti per la reazione “combatti o scappa”. Questi cambiamenti includono un innalzamento del battito cardiaco, un’accelerazione del ritmo respiratorio, una contrazione dell’apparato gastrointestinale ed urinario, aumento della glicemia, un aumentato afflusso di sangue verso i muscoli e un aumento della pressione sanguigna.. Se questi effetti, che sono benefici a breve termine, diventano invece cronici (come nel caso di stress cronico) cessano di essere utili e si trasformano invece in dannosi per l’organismo. Per esempio, momentanei innalzamenti della pressione sfociano nell’ipertensione, ripetuti innalzamenti della glicemia portano al diabete, alterazioni del ritmo cardiaco portano a cardiopatie e così via; tutte queste malattie sono le prime cause di morte nella nostra società. Ma anche l’obesità è legata allo stress.
Al giorno d’oggi, il livello di stress delle società occidentali, ha raggiunto livelli d’allarme.
La moderna tecnologia, anziché rendere la vita più semplice l’ha resa più frenetica, immergendoci in un net-work continuo di stimolazioni; telefoni cellulari, internet, televisioni in ogni camera, automobili parlanti non ci lasciano in pace.
Svariati studi clinici hanno dimostrato che abbassando i livelli di stress e riportando i livelli di cortisolo (il principale ormone dello stress) a valori normali, si può ridurre il peso corporeo, la pressione sanguigna, migliorare la sensibilità all’insulina, riequilibrare la glicemia e controllare l’appetito.
La buona notizia è che numerosi studi hanno dimostrato che lo yoga, i massaggi, l’esercizio fisico, la corretta alimentazione e l’uso di determinati integratori, possono funzionare da anti-stress e diminuire i livelli di cortisolo. Il cortisolo è appunto il principale ormone dello stress che viene attivato in situazioni di emergenza; quando questo stress diventa cronico, i livelli di cortisolo nel sangue sono sistematicamente alti. Il cortisolo manda dei segnali al cervello per aumentare l’appetito e soprattutto verso i carboidrati ed i grassi, cioè verso i cibi particolarmente ricchi di calorie, proprio per fornire all’organismo le maggiori energie possibili per contrastare la situazione di stress.
Nell’uomo primitivo, la situazione di stress era per lo più legata a situazioni di carattere fisico: aggressioni, eventi climatici sfavorevoli, intensa attività di caccia ecc……
Al giorno d’oggi lo stress è prevalentemente di carattere psichico: il lavoro, la famiglia, il coniuge, i problemi economici, la mancanza di tempo, ecc…..
Di conseguenza la risposta allo stress con una super alimentazione, in realtà non è funzionale alla causa scatenante. Inoltre il cortisolo, per gli stessi motivi, tende a ridurre la mobilizzazione dei grassi di deposito per conservarli per situazioni di emergenza e questo lo fa, oltre che tramite un segnale diretto alle cellule adipose, anche bloccando l’azione dei più importanti ormoni del nostro corpo: peggiorando l’efficienza dell’insulina si hanno più facilmente sbalzi glicemici e crisi di fame per i carboidrati, diminuendo la serotonina più facilmente ci sentiremo depressi, diminuendo l’ormone della crescita calano i muscoli ed aumenterà il grasso e riducendo gli ormoni sessuali (testosterone ed estrogeni) diminuirà la libidine e la performance sessuale.
Quindi alla fine ci ritroveremo affamati, depressi, deboli, grassi e quasi impotenti. Non è una bella prospettiva! Ma badate bene, anche una dieta eccessivamente restrittiva è fonte di stress e scatenando questi meccanismi, non porterà ad una corretta perdita di peso, ma se mai a perdere piuttosto i muscoli invece del grasso.
E’ poi classica la situazione di diete troppo restrittive che innalzando in maniera notevole il cortisolo, causano un impellente desiderio di sovralimentarsi, che porta all’abbandono della dieta e ad uno smodato consumo di cibo.
Anche l’allenamento eccessivo è fonte di stress, ed una ricerca effettuata presso l’Università del Colorado, ha dimostrato che gli atleti in condizioni di super-allenamento presentavano difese immunitarie più basse, disturbi dell’umore e maggiori livelli di grasso corporeo.
Verso una nutrizione “consapevole”
Al giorno d’oggi sono tantissimi gli stimoli esterni che il nostro cervello deve processare rispetto al passato e spesso ci si trova a dover consumare il proprio pasto di fretta (i fast-food ne sono un esempio, ma non solo..), mangiando quello che capita o, peggio ancora, ci troviamo durante il pasto a “rimuginare” pensieri depotenzianti (impegni, imprevisti, problematiche lavorative e via dicendo), che alterano i processi del sistema enterico (il nostro secondo cervello) e quindi la corretta funzione dell’apparato digerente.
Uno dei caposaldi della psico-cibernetica afferma che “la mente umana non può distinguere un evento reale da uno vividamente immaginato” perché in entrambi i casi si attivano le stesse reti neurali.
Facendo fede a questo principio possiamo dire che se consumiamo un cibo distraendoci (guardando la televisione o seduti davanti al pc) dalla nostra azione alimentare, per la nostra mente non stiamo consumando quel cibo.
Quest’ultimo viene consumato in modo più veloce e la quantità di cibo ingerito risulta maggiore in quel lasso di tempo necessario affinché lo stimolo della sazietà raggiunga i centri cerebrali (circa 20 minuti). La quantità calorica ingerita alla fine del pasto risulterà maggiore di quella ingerita se attuassimo una “pratica alimentare consapevole”.
Inoltre la distrazione determina una parziale “insensibilità” al gusto dell’alimento consumato, che interferisce con le sostanze ormonali gratificanti (endorfine) prodotte durante e dopo la consumazione.
Il nostro organismo, per ovviare a questa parziale soddisfazione, ci richiede di consumare altro cibo.
La gratificazione è quella piacevole sensazione data:
– dall’appagamento dell’aver soddisfatto un nostro bisogno primario (fame);
– dagli stimoli sensoriali (vedere e gustare un alimento);
– dai pensieri (quello che visualizziamo, che ci diciamo e sensazioni che proviamo) che generiamo durante la consumazione degli alimenti.
Questi ultimi punti influenzano in modo determinante il senso di sazietà (ipotalamo), oltre ad incidere in maniera determinante sulla motivazione circa il perseguimento del regime alimentare adottato (se il regime alimentare è basato su rinunce e sacrifici, e quindi su poca gratificazione, sarà difficile che diventi un’abitudine alimentare a lungo termine).
Il metodo
Il seguente metodo sul consumo dei cibi affonda le sue radici nella PNL. Si tratta, in sintesi, di accorgimenti comportamentali di semplice adozione da dover inizialmente “consapevolizzare” in modo da farli diventare successivamente delle abitudini automatiche, inconsce.
I punti da seguire sono i seguenti:
1) Mangia appena senti fame
L’uomo primitivo mangiava per nutrirsi e per gusto e non, come spesso accade oggi, per soddisfare bisogni emotivi. Per seguire questa linea guida è necessario mettere in atto un “ascolto attivo” del proprio organismo, discernendo i bisogni primari (fame, sete, ecc.) da quelli emotivi (ansia, insoddisfazione, ecc.).
2) Mangia ciò che vuoi spesso in dosi moderate.
L’uomo primitivo mangiava spesso perché si nutriva di ciò che trovava durante l’approvvigionamento del cibo, vista l’impossibilità di conservarlo per tempi molto lunghi come accade oggi. Non si ha quindi la necessità di fare “magazzino”, possiamo permettercidi velocizzare e alimentare spesso il nostro metabolismo facendogli sapere che, in caso di necessità, c’è disponibilità di cibo.
3) Avanza sempre qualcosa nel piatto.
Per contrastare la credenza potenziante più diffusa (buttare il cibo è uno spreco o peggio ancora un “peccato!”) e per esorcizzare la persona dal senso di colpa derivante, che contrasta la piena consapevolezza dello stimolo della sazietà, estranea all’uomo ancestrale.
4) Posa la forchetta dopo ogni boccone.
Lo stimolo della sazietà, che parte dai centri cerebrali non è tanto strettamente correlato alla quantità di cibo che ingeriamo bensì è direttamente proporzionale alla “lentezza” con cui si consumano i cibi e, quindi, al loro tempo di assunzione. L’uomo primitivo non aveva fretta di consumare il pasto, a differenza di quanto è portato a fare l’uomo moderno per radicati cambiamenti del proprio stile di vita. Inoltre alcune tipologie di ristorazioni (come i fast food) intensificano ulteriormente questa problematica. Gustare lentamente il cibo è importante perché lo stomaco invia il segnale di sazietà al cervello con un ritardo di circa 20 minuti dall’inizio della consumazione del pasto. Inoltre è stato dimostrato che se il cibo viene triturato bene migliora l’azione enzimatica nello stomaco.
5) Ascolta il tuo corpo ogni giorno di più.
L’uomo primitivo possedeva un’assoluta consapevolezza dello stimolo della fame ma anche di quello della sazietà. L’alterazione di questi ultimi è stata causata da una progressione del sovraccarico sensoriale durante il consumo degli alimenti nonché da un ritmo di vita più frenetico rispetto al passato. Il nostro corpo ci dice di cosa ha bisogno e, soprattutto, l’appetito è specifico per determinati macronutrienti (carboidrati, proteine, grassi).
6) Apprezza ogni boccone al 100%
Questo espediente viene utilizzato al fine di produrre una sensazione benefica a livello emotivo. Il piacere associato a questa sensazione permette un equilibrio dell’assetto neuro-trasmettitoriale del cervello che, tramite uno stimolo del sistema endorfinergico, genera la produzione di sostanze gratificanti. Queste sostanze hanno capacità analgesiche, calmanti e appaganti, aumentando il senso di controllo della persona durante il perseguimento della dieta, tramite la stabilizzazione e l’anticipazione dello stimolo di sazietà.
7) Se hai il dubbio di essere sazio, fermati!
Per prendere consapevolezza del senso di sazietà e non eccedere nella quantità di cibo ingerita, o meglio, introdurre quella corretta, risulta indispensabile decidere di fermarsi tra i punti 5 e 6 della seguente scala:
1—-Molta fame
2
3
4—-Famelico
5
6
7—-Sazio
8
9
10—-Molto sazio
Bibliografia
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Stress and Aging, Errol R. Korm M.D., Rod Comumale M.D.
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Anxiety, in D. Meichenbaum, M.E. Jaremko (eds.), Stress Reduction and Prevention, Plenum, New York, Maxwell Malz, Psicocibernetica, Astrolabio, 1965, Roma.
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Selye, Hans, The Stress of life; McGraw-Hill (Paperback)
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Paul Mckenna, Posso farti dimagrire, 2010, Tea edizioni
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Debora Conti, EFT & PNL insieme per dimagrire, Editore My Life