Lo stress è una risposta fisiologica fondamentale che permette all’organismo di rispondere a situazioni che alterano la propria omeostasi creando una disarmonia fisiologica che può sconfinare, se protratta (nel tempo), nella patologia.
Al Dr. Hans Selye, clinico canadese, è attribuita la teoria della “malattia da stress”.
Egli scoprì che ogni agente stressante causava una serie di risposte specifiche o di adattamento nell’organismo.
Chiamò la sua scoperta “sindrome di adattamento generale” o G.A.S..
La G.A.S., viene divisa in tre fasi di stress: allarme, resistenza ed esaurimento.
Ciascuna fase rappresenta uno stato energetico inferiore rispetto la fase precedente.
Le fasi sono adattamenti che il corpo deve mettere in atto per sopravvivere.
Nella fase di allarme una secrezione maggiore degli ormoni delle ghiandole surrenali alza la pressione sanguigna e fa affluire maggiori quantità di glucosio nel sangue (cortisolo, adrenalina, sono ormoni glicogenolitici), fornendo così un supporto energetico alla reazione attacco-fuga.
Se una tigre sbuca fuori nella giungla, le reazioni per salvarvi sono due: o fuggite più veloci di una gazzella o, se siete Sandokan, l’affrontate; in entrambi i casi sono necessari un bel po’ di zuccheri come substrato energetico e questi vengono forniti dalla glicolisi e dalla gluconeogenesi indotta dagli ormoni dello stress, adrenalina e cortisolo ed anche DHEA-s per compensare gli effetti catabolici del cortisolo.
Quando lo stress da acuto diventa cronico, cioè se la tigre continua a sbucar fuori, si verifica un passaggio dalla fase di allarme a quella di resistenza e la risposta attacco-fuga non può essere mantenuta allo stesso livello.
In questa fase la risposta allo stress è deputata soprattutto al cortisolo e meno all’adrenalina e progressivamente i livelli di DHEA-s si abbassano grazie al “furto del pregnenolone” perché essendo comunque il DHEA-s un ormone steroideo che ha alla base il pregnenolone come precursore, come il cortisolo stesso, viene privilegiata la produzione di cortisolo.
In realtà questo fenomeno è più legato ad altri fattori come la concentrazione di specifici enzimi e segnali esterni in quanto il pool del pregnenolone non è in comune alla zona fascicolata e reticolare del surrene che sono le differenti zone della corteccia surrenale dove vengono prodotti rispettivamente il cortisolo e il DHEA-s. Il livello degli ormoni midollari o adrenalinici acuti diminuisce mentre il livello dei glucocorticoidi (tra cui il cortisolo) definiti anche ormoni dello stress cronico, aumenta.
All’inizio il cortisolo rimane alto per sopperire alla caduta totale delle catecolamine (adrenalina e noradrenalina), successivamente se lo stress si protrae per molto tempo il corpo non può più far fronte allo stress e ci troviamo nella fase di esaurimento dove si assiste anche ad una progressiva mancata produzione degli ormoni corticosurrenalici e ad una situazione di ipocortisolismo.
La maggior parte dei ricercatori ritiene che il modello di Seyle rappresenti una semplificazione che non è in grado di descrivere l’estrema complessità della risposta dell’organismo a situazioni di stress.
Per esempio un limite è rappresentato dagli esperimenti di Seyle che hanno usato roditori che non erano in grado di attuare alcuna strategia per rimuovere, evitare o gestire lo stress.
Nonostante ciò il modello a tre fasi della progressione dell’adattamento allo stress è ancora il modello clinico più usato e considerato nella comunità medica.
Crescendo l’interesse scientifico nei confronti dello stress vennero coniate, poi, ulteriori terminologie e siccome il concetto di “omeostasi” non si addiceva bene a descrivere un sistema che normalmente funziona attraverso ritmiche fluttuazioni fu adottato il termine “allostasi” per descrivere una “stabilità attraverso il cambiamento”.
McEven e Stellar coniarono, poi, il termine “carico allostatico” per descrivere sia il carico degli stressor sul sistema biologico sia il costo metabolico della risposta adattativa. In questo modello ci sono tre tipi di carico allostatico collegati ad una alterata risposta dello stress che generano conseguenze metaboliche:
- Frequenti eventi stressanti che riducono la capacità di adattamento che dipende sia dalla loro importanza che dalla frequenza
- Una risposta allo stress che non compensa lo stressor (ciò che stressa)
- Un’inadeguata capacità di rispondere all’evento stressante
Quindi una risposta allo stress compromessa o da ripetuti stress o da una regolazione disfunzionale o dalla perdita della capacità di un’appropriata risposta.
La risposta dello stress è finalizzata a ricorrere alle “riserve” dell’organismo per riportarlo in condizioni nelle quali possa affrontare un ulteriore stress.
La nostra riserva funzionale agisce come un tampone in grado di mantenere una resilienza fisiologica senza effetti avversi.
Quando la riserva è scarsa o quando gli stress sono eccessivi e si verifica una disfunzione all’interno della risposta allo stress si verificano le malattie proprio perché si depleta la riserva metabolica dell’organismo.
L’effetto del carico allostatico dello stress cronico non agisce solo depletando la riserva organica, ma tende a causare un adattamento al “ribasso” della risposta agli stressor in maniera da difendere l’organismo dagli effetti deleteri della risposta allo stress stesso. Se è vero che questo adattamento “al ribasso” è funzionale e preserva la riserva organica, lascia, però, l’organismo in condizioni di maggiore vulnerabilità.
Questo è un fenomeno non così infrequente in soggetti sottoposti a stress cronico per lungo tempo che quindi sperimentano disfunzioni legate all’iperattivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene preposto alla risposta allo stress che dopo anni si trovano con una disfunzione legata ad una ipoattività delle surrenali che si traduce con una situazione di ipocortisolismo.
Da tutto ciò emerge quanto sia importante poter gestire lo stress che rappresenta fondamentalmente tutto quello che la vita ci fa sopportare sulle nostre spalle.
Ma se non possiamo di certo evitarlo possiamo, soprattutto conoscendo i meccanismi fisiologici, mantenere al minimo i suoi effetti negativi rendendoci conto di come in realtà certe malattie croniche degenerative non sono dovute a germi, sostanze tossiche o traumi, ma a disturbi di adattamento o disfunzioni e in questo novero possiamo tranquillamente inserire vari disturbi di tipo psichiatrico, l’ipertensione, l’ulcera gastrica e duodenale, colon irritabile, e anche problematiche sessuali e cardiovascolari.
Gli stili di vita rappresentano spesso la soluzione.