La cosa più difficile quando si fa la dieta è resistere alle tentazioni. Così, oltre alla fatica di stare a stecchetto, si aggiungono innumerevoli sensi di colpa ad ogni sgarro e il regime alimentare può diventare un calvario. Ma il desiderio irrefrenabile di lasciarsi andare non dipende dalle nostre debolezze o dai nostri gusti, è invece un meccanismo innato che non si può frenare, residuo di un passato arcaico di cacciatori quando un meccanismo naturale serviva a incoraggiare la ricerca del cibo.
Se dal punto di vista evoluzionistico ha un senso possedere questo campanello di attivazione della fame, oggi abbiamo cibo a volontà e quindi sentirsi attratti da altre leccornie può diventare molto impegnativo e fastidioso. In futuro, però, le cose potrebbero cambiare perché due ricerche distinte, pubblicate oggi su Nature e su Nature Neuroscience, dimostrano che il meccanismo di questi neuroni si può invertire, facendo diventare il cibo più attraente poco interessante ai nostri occhi.
Su Nature i ricercatori della Howard Hughes Medical Institute, Chevy Chase (Usa) riportano diversi esperimenti condotti sui topolini di laboratorio in cui dimostrano che i neuroni della fame, noti come AgRP (agouti-related-peptide), agiscono a livello dell’ipotalamo come un interruttore della luce e che, oltre ad accendersi da soli, si possono anche spegnere, ma questa volta con l’intervento dell’uomo.
Fornendo ai topi dei gel molto graditi e di gusti diversi, gli studiosi hanno manipolato i neuroni AgRP sulla posizione di spegnimento, mentre gli animali ne mangiavano un tipo ottenendo così che negli esperimenti successivi gli animali non erano più interessati a mangiarlo. “Silenziando i neuroni abbiamo innescato segnali sgradevoli invece che gradevoli”, spiegano i ricercatori che hanno dimostrato, su un altro gruppo di neuroni trovati nell’area sub-fornicale dell’ipotalamo, lo stesso identico meccanismo per la sete. “Il prossimo step sarà approfondire ancora di più questi meccanismi per riuscire, in futuro, a fornire farmaci in grado di facilitare il calo dei chili in più con meno fatica e sofferenza”.
Anche i ricercatori del Beth Israel Deaconess Medical Center e dell’Istituto nazionale di diabete e malattie renali del National Institutes of Health statunitense si sono concentrati su un gruppo di neuroni di questa complessa rete neurale che sottende la fame, ma anche la sensazione di sazietà. Nella ricerca, pubblicata su Nature Neuroscience, il team ha scoperto che un circuito di recettori, regolamentati dal peptide melanoncortina 4, agisce da collegamento neurale che inibisce e controlla la fame. Il circuito cerebrale promuove la sensazione di pienezza ed elimina anche la sensazione fastidiosa della fame . Anche qui il meccanismo si può bloccare. “I nostri risultati potrebbero fornire un nuovo bersaglio per lo sviluppo di farmaci dimagranti perché dimostrano che l’attivazione artificiale di questo particolare circuito cerebrale può modificare l’alimentazione nei topi, riducendo la sensazione di fame cronica” spiega Bradford Lowell, fra gli autori della scoperta che ha ricostruito nel suo laboratorio uno schema di circuito neuronale artificiale. “Determinare l’identità di questi neuroni ‘sazietà’ è la chiave per stabilire il modello di come il cervello è in grado di regolare l’appetito”, conclude Lowell.
La Repubblica 28/04/2015