Sempre più spesso si sente parlare di integratori in grado di potenziare il sistema immunitario e tra questi non può mancare la vitamina D.
Il suo effetto protettivo contro il coronavirus è stato oggetto di molti studi, anche perché se questa vitamina è in grado di proteggerci da raffreddori e influenza, perché non dovrebbe contrastare un’eventuale infezione da Covid19?
Ricordiamo che la vitamina D può essere prodotta dal nostro organismo grazie all’esposizione ai raggi solari, infatti non è un caso che si siano riscontrati tassi di mortalità, durante la crisi del coronavirus, più alti in quei paesi in cui il sole risulta essere meno potente.
Inoltre, i media hanno riportato un aumento dei tassi di mortalità nelle persone dalla pelle scura e il motivo risiede proprio nel fatto che questi soggetti hanno una minore capacità di produrre la vitamina D rispetto a quelle con pelle chiara.
A tale proposito il radiologo Mark Alipio ha analizzato i dati di 212 pazienti con infezione da coronavirus e nello specifico ha utilizzato i dati raccolti da 3 ospedali dell’Asia meridionale. Egli ha iniziato le sue indagini conoscendo 2 parametri di base: lo stato di vitamina D dei pazienti e la gravità della loro condizione e, attraverso tecniche statistiche, Alipio ha determinato la relazione tra i due.
Ciò che si è osservato è che quando il livello di vitamina D era superiore a 30 ng/ml, i sintomi da infezione per coronavirus erano quasi sempre lievi, perciò polmonite, febbre, difficoltà respiratorie e ricovero in terapia intensiva erano rari in questo gruppo.
Al contrario, minore era il livello di vitamina D e più alte erano le possibilità che l’infezione provocasse i sintomi gravi della malattia.
Concludendo si può affermare che l’integrazione di vitamina D potrebbe eventualmente migliorare gli esiti clinici dei pazienti con infezione da Covid-2019 in base alla relazione diretta tra la probabilità di avere un esito lieve e l’aumento del livello sierico di vitamina D attiva.