California Sport & Fitness – settembre 1997
Quando nel 1984 andai per la prima volta, con l’amico Guido Barilla, in California, rimasi favorevolmente impressionato dalla grande quantità di cibi dietetici a bassissimo contenuto di grassi.
Chiesi allora a Guido, visto il grande successo di questi cibi, se la Barilla intendesse seguire questa tendenza immettendo nel mercato italiano prodotti analoghi, e Guido mi rispose che i tempi erano ancora prematuri.
Difatti abbiamo dovuto aspettare circa 10 anni, che secondo me rappresentano il reale tempo che ci divide dall’America (se prendiamo l’aereo e scendiamo a Los Angeles, dato il fuso orario, ci troviamo indietro di 9 ore, ma in realtà ci troviamo in una civiltà circa 10 anni avanti e penso che viceversa avvenga andando verso i paesi dell’Est europeo), per vedere i prodotti a minor contenuto di grassi della linea “Essere”.
Ma cosa è avvenuto nel frattempo negli U.S.A.?
In effetti negli Stati Uniti è sempre più possibile trovare alimenti “no fat” cioè senza grassi, compresi dolci, prodotti da forno, ecc., e circa un 30% del mercato alimentare è orientato verso il consumo di questi cibi.
Ma nonostante tutto la popolazione americana sta diventando sempre più grassa. Aumentano gli obesi e le malattie dismetaboliche legate al sovrappeso.
Ciò potrebbe essere causato dal fatto che questi cibi, essendo raffinati, hanno un indice glicemico particolarmente alto (cioè alzano di molto la glicemia) e l’assenza di grassi, accelerando lo svuotamento dello stomaco, rende ancora più alto questo indice glicemico, in quanto gli zuccheri vengono assorbiti più in fretta, causando così un’iperstimolazione dell’insulina (l’ormone deputato ad abbassare la glicemia) che tenderà a far depositare gli zuccheri in eccesso nelle cellule adipose trasformandoli in grassi.
Ovviamente alla base ci deve essere un “surplus” calorico, come minimo momentaneo.
Di certo l’idea di consumare cibi a basso contenuto di grassi e ritenuti quindi “salutari” dal punto di vista del sovrappeso può facilmente portare ad un eccessivo introito degli stessi.
Ed inoltre, stazionando per poco tempo nello stomaco, sempre per lo scarso contenuto di grassi, questi cibi danno uno scarso senso di sazietà, il che abbinato a “rebound” glicemici (l’ipoglicemia che segue all’iperstimolazione dell’insulina indotta dall’iperglicemia) può portare a consumare nel giro di poco tempo altro cibo.
Ma davvero quest’insulina è la “bestia nera” del grasso corporeo?
In effetti l’insulina è il vero ormone lipogenetico, cioè l’ormone che fa ingrassare, ma sempre c’è un eccesso di carboidrati, soprattutto associato ad un consumo elevato di grassi.
E questa, tutto sommato, ritengo sia la situazione dell’americano medio. Ricordiamoci che nonostante tutto la percentuale di grassi nell’alimentazione americana è ancora circa del 40-45%, quindi decisamente alta, e di conseguenza se il nostro consumatore di bistecche, ricche di grassi saturi, crede di compensare ingerendo quantità “americane” (ricordatevi che in America è tutto più grande: le macchine, le strade, le spiagge, le porzioni dei cibi, la gente…) di biscotti senza grassi, ecco che invece peggiora la situazione: iperstimolazioni di insulina in presenza comunque di grassi saturi!
Ma a noi “cultori del Fitness” interessa poco la sorte dell’americano medio e vogliamo sapere cosa è meglio per noi, per stare sempre al massimo della forma, con una bassa percentuale di grasso corporeo e con un’ottima capacità di “performance”.
E’ meglio una dieta senza grassi oppure con pochi grassi o addirittura, come si è scritto recentemente su alcune riviste specializzate, con molti grassi?
La nostra cultura alimentare, come sportivi, è ormai legata al concetto fondamentale dell’importanza dei carboidrati che sono “buoni” (anche da mangiare) e sull’importanza di limitare i grassi che sono “cattivi”. Questi concetti hanno letteralmente dominato la cultura sportiva a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 e sono stati poi trasportati in parte alla popolazione normale.
Quando vogliamo dimagrire e vogliamo metterci in forma, i primi alimenti ad essere eliminati sono i grassi. Così si passa all’insalata scondita, allo yogurt magro, al tonno al naturale, sacrificando anche il gusto nell’ottica di un presumibile miglioramento fisico (avete mai provato a mangiare due etti di tonno al naturale? Io ho smesso da parecchio tempo).
Questo atteggiamento un po’ maniacale possiamo trovarlo nella sua forma più estremizzata nelle anoressiche.
Ricordo a questo proposito un episodio avvenuto qualche mese fa mentre stavo eseguendo le visite di idoneità per l’agonismo presso il Fitness Center (centro di medicina sportiva di Parma). La segretaria del centro, durante una pausa di lavoro, mi chiese: “Dottore, ho visto che lei è anche specialista in Scienza dell’Alimentazione e vorrei chiederle alcuni consigli sulla dieta, perché vede, io sono stata anoressica, però vorrei togliere quel po’ di grasso che mi rimane sull’addome; ho già tolto tutti i grassi dalla dieta e non so più cosa fare!”. Io le consigliai di non mantenere un atteggiamento così rigido nei confronti dei grassi e di seguire una dieta più equilibrata, sia per motivi di salute, sia per il fatto che togliendo completamente i grassi si otteneva l’effetto contrario: cioè il corpo cercava di conservarli diminuendo la lipolisi.
“Bene dottore, mi ha quasi convinta, vuol dire che userò un….cioè mezzo cucchiaino di o….o….o… (e la parola non voleva uscire) di olio nell’insalata, grazie del consiglio”.
Questo è un classico esempio di come l’eliminazione dei grassi esasperata, come avviene nelle anoressiche che hanno un atteggiamento maniacale nei confronti della dieta (conoscono senz’altro meglio le tabelle caloriche ed il contenuto in grasso di ogni alimento di quanto le conosca io), alla fine porti in realtà ad una maggiore percentuale di grasso corporeo.
Infatti studi che comparavano anoressiche con l’atteggiamento maniacale verso i grassi, e ragazze che seguivano comunque una dieta ipocalorica più o meno dello stesso livello delle prime ma più varia, hanno rilevato una maggiore percentuale di grasso corporeo nelle anoressiche.
Praticamente una eccessiva riduzione dei grassi causa una diminuzione della capacità lipolitica dell’organismo dovuta ad una probabile perdita delle capacità enzimatiche di utilizzare i grassi come substrato energetico.
Esistono degli studi con soggetti normopeso che dimostrano come le diete ricche di grassi siano accompagnate da un maggior effetto lipolitico, ossia di combustione dei grassi.
Un altro studio con soggetti obesi ha evidenziato che gli individui ai quali è stata fatta seguire una dieta relativamente più ricca di lipidi e a basso contenuto di carboidrati, sono dimagriti in maniera significativamente maggiore rispetto ad altri soggetti indirizzati verso una dieta più ricca di carboidrati e povera di grassi.
Viceversa, numerosi studi dimostrano che una maggiore percentuale di calorie grasse facilita l’accumulo dei lipidi nel tessuto adiposo.
Nello studio condotto da Horton, i soggetti sono stati ipernutriti di circa il 50% in più rispetto al loro fabbisogno. L’ipernutrizione basata sui carboidrati ha provocato un accumulo delle energie in eccesso nell’ordine del 75-85% contro il 90-95% dei grassi.
Bene, a questo punto avete in testa una gran confusione, però proviamo ad analizzare meglio questi studi che apparentemente sono in contraddizione.
Innanzitutto quando prendiamo in considerazione gli studi che dimostrano il maggior potere ingrassante dei grassi si tratta comunque di diete ipercaloriche (anche il 50% in più del fabbisogno), invece negli studi che evidenziano il potere dimagrante dei grassi si tratta comunque di diete ipocaloriche.
Concludendo, alla base di queste evidenze, possiamo affermare che se noi stiamo seguendo una dieta ipercalorica, rivolta per esempio all’aumento della massa muscolare, è meglio aumentare l’apporto, oltre che delle proteine ovviamente, dei carboidrati che, essendo in grado di stimolare proporzionalmente la loro ossidazione, causeranno un minor accumulo di energia sotto forma di grasso, ma soprattutto come glicogeno muscolare.
Viceversa, se stiamo seguendo una dieta per dimagrire, è meglio non abbassare troppo i grassi, che possono essere mantenuti anche in buona quantità soprattutto se si abbassano i carboidrati.
In questa maniera si diminuisce la produzione di insulina, che è l’ormone antilipolitico, e si evita di far scattare quel meccanismo di conservazione dei grassi.
Si potrebbe quindi dire “ingrossare coi carboidrati e dimagrire con i grassi!”.
Ma le cose non sono proprio così semplici. Innanzitutto non bisogna trascurare l’importanza delle proteine, che assumono un ruolo fondamentale sia nel primo caso che nel secondo, e poi bisogna vedere che tipo di carboidrati e che tipo di grassi.
Siccome il tema dell’articolo è “dimagrire coi grassi”, prendiamo in considerazione i grassi.
Innanzitutto i grassi sono sostanze composte da una molecola di glicerolo e da tre molecole di acidi grassi che possono variare.
Gli acidi grassi a loro volta si suddividono in acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi, tra i quali abbiamo i cosiddetti “essenziali” (linoleico e linolenico) che il nostro organismo non può costruire da solo.
Questi acidi grassi sono importanti materiali di costruzione per l’organismo essendo gli elementi chiave della membrana cellulare e devono essere presenti in quantità di circa il 5-10% nell’alimentazione.
Fino a poco tempo fa, quando si parlava di materiali di costruzione, si pensava solo alle proteine. Oggi parlando della materia prima di cui si compone l’organismo non si può prescindere dagli acidi grassi, soprattutto quando si tratta del cervello e del sistema nervoso in generale.
Non bisogna comunque dimenticare il colesterolo, indispensabile per la formazione dei sali biliari (per emulsionare e digerire poi i grassi) e precursore fondamentale degli ormoni sessuali delle gonadi maschili e femminili (testosterone ed estrogeni) e delle surrenali (DHEA: deidroepiandrosterone), in più il colesterolo rinforza le membrane cellulari.
Conosciamo però tutti la cattiva reputazione del colesterolo, tutti abbiamo sentito dire che quando nel sangue c’è troppo colesterolo crescono i rischi di infarto al miocardio e di altre malattie legate al cosiddetto “intasamento delle arterie” (v. ictus). Ma a questo punto intervengono gli acidi grassi insaturi: quando l’organismo dispone di una buona quantità di acidi grassi insaturi e una scarsa quantità di acidi grassi saturi, una gran parte del colesterolo è trasportata sotto forma di molecole complesse chiamate HDL (Hight Density Lipopretein).
Queste molecole contrastano il depositarsi del colesterolo sulle pareti delle arterie, fanno il lavoro degli spazzacamini, per questo motivo l’HDL è chiamato “colesterolo buono”.
Per questa ragione gli acidi grassi polinsaturi, monoinsaturi, saturi, devono essere assunti nelle rispettive proporzioni, 33% – 33% – 33%, in quanto i polinsaturi, tra i quali i cosiddetti “essenziali” (linoleico – linolenico) sono fondamentali per la struttura delle membrane cellulari e per la prevenzione dell’arteriosclerosi: i monoinsaturi (oleico) hanno un effetto neutro o moderatamente benigno nei confronti dell’arteriosclerosi ed un effetto altamente protettivo nei confronti di malattie tumorali. I saturi presenti nel mondo animale sono comunemente associati al colesterolo necessario ma in moderate quantità e assolvono ad una funzione preminentemente energetica.
A proposito, per non parlare sempre con una terminologia astratta, diciamo che l’acido linoleico, che è il capostipite della famiglia degli omega-6, è presente in abbondanza in tutti gli oli di semi vari e che invece l’acido linolenico, capostipite della famiglia degli omega-3, è meno presente; una buona fonte è l’olio di soia, ma la miglior fonte di acido linoleico è l’olio di lino.
E’ un po’ difficile da trovare: si trova in alcune erboristerie e deve essere conservato al freddo ed usato crudo.
Gli omega-3 sono presenti in abbondanza negli animali marini, soprattutto nei pesci dei freddi mari del Nord: salmone, sgombro, aringhe (ricordate il vecchio olio di fegato di merluzzo usato come integratore?) e sono l’acido eicosapentanoico e il docosaexanoeico.
I grassi saturi inoltre hanno il malaugurato difetto di diminuire la sensibilità dell’organismo all’insulina cosicché è necessaria una maggiore quantità della stessa. E se ricordate più insulina c’è in giro, meno si bruciano i grassi.
Invece gli acidi grassi polinsaturi aumentano la sensibilità all’insulina diminuendone la produzione e favorendo così la lipolisi e quindi il dimagrimento.
Direi quindi che le proporzioni dette prima: 1/3 polinsaturi (olio di lino, olio di soia, olio di sesamo, olio di pesce), 1/3 monoinsaturi (olio di oliva, arachidi e avocado), 1/3 saturi (contenuti per lo più in prodotti di origine animale, come carni e formaggi, ma anche vegetali come l’olio di palma , di cocco, di colza e le margarine), rappresentano la formula ideale. Ma se circa il 10% di acidi grassi essenziali è l’ideale per l’effetto della sensibilizzazione all’insulina, vediamo come, rispettando le proporzioni, arriviamo facilmente ad un 30% di grassi totali, che è la percentuale raccomandata dalla OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e dall’Istituto Nazionale della Nutrizione.
Ecco quindi che finalmente il sistema migliore per raggiungere un obiettivo estetico (il dimagrimento) coincide con il sistema più salutare. Quindi, cultori del Fitness e sportivi in genere, non cercate di abolire o limitare troppo i grassi dalla vostra alimentazione, altrimenti potreste ottenere l’effetto contrario e, non me ne voglia l’amico Barilla, non esagerate nemmeno con l’assunzione di carboidrati che, pur privi di grassi, consumati in eccesso ostacolano il dimagrimento.