Le statine sono indubbiamente nella top ten dei farmaci più utilizzati nella pratica clinica, data la loro particolare efficacia nell’abbassare i livelli di colesterolo e fanno parte del protocollo più comunemente somministrato per trattare l’ipercolesterolemia e i rischi cardiovascolari associati.
Avendo il potenziale per ridurre l’ipertrigliceridemia postprandiale, e quindi il rischio di sviluppare placche aterogene, le statine sono raccomandate per le persone con un rischio di malattia cardiovascolare aterosclerotica a dieci anni del 20% o superiore e per abbassare il colesterolo a bassa densità (LDL-c).
Tuttavia, nonostante questa dovuta premessa, alcuni operatori sanitari sono riluttanti a raccomandare le statine ai pazienti pre-diabetici e dislipidemici alla luce delle più recenti scoperte scientifiche.
Per esempio, una recentissima revisione sistematica (luglio 2023) ha esplorato in modo completo il legame tra l’uso di statine e l’intolleranza all’insulina.
Vediamola insieme.
La ricerca bibliografica effettuata su PubMed, PMC e MEDLINE ha prodotto 667 articoli e, dopo aver applicato il filtro di selezione, solo 11 studi concordavano con i criteri di inclusione e avevano una qualità accettabile.
Gli studi selezionati hanno avuto un totale combinato di quasi 47 milioni di partecipanti.
Ebbene, è risultato che le statine hanno effetto sul glucosio e l’insulina a digiuno e sull’emoglobina A1c (emoglobina glicata).
Sappiamo che l’insulina a digiuno, il glucosio a digiuno e l’emoglobina A1c (HbA1c) sono tutti biomarcatori frequentemente impiegati per valutare la sensibilità all’insulina e monitorare i livelli di zucchero nel sangue.
La ridotta sensibilità all’insulina e la resistenza all’insulina sono segni che il corpo non sta utilizzando l’insulina in modo efficiente come dovrebbe, il che è manifestato da alti livelli di glucosio a digiuno (iperglicemia) o alti livelli di insulina a digiuno (iperinsulinemia).
Livelli di emoglobina glicata più alti indicano uno scarso controllo glicemico, legato a una minore sensibilità all’insulina e ad un aumentato rischio di conseguenze come retinopatia, nefropatia e neuropatia.
Quattro su cinque studi hanno riportato l’effetto delle statine sul glucosio a digiuno, HbA1c e concentrazioni di insulina a digiuno: le statine aumentano le concentrazioni di tutti questi valori.
Tuttavia, uno studio (Alvarez-Jimenez et al.) ha scoperto che l’astinenza da statine non ha alcun impatto sui livelli di insulina o glucosio a digiuno, indicando che nelle persone ipercolesterolemiche, il trattamento cronico con statine non peggiora il pre-diabete (cioè la resistenza all’insulina).
Due critiche principali allo studio di Alvarez-Jimenez et al. possono spiegare i risultati contrastanti:
- la mancanza di cambiamenti nelle risposte al glucosio o all’insulina potrebbe essere dovuta al fatto che 96 ore di rimozione del farmaco non sono sufficienti per vedere gli effetti delle statine che causano insulino-resistenza.
- lo studio ha scoperto che le statine hanno effetti duraturi e potenzialmente irreversibili sul diabete, che sono stati scoperti solo in individui che avevano assunto il farmaco per oltre tre anni.
Per quanto riguarda il dosaggio, la statina influenza in forma dose-dipendente le concentrazioni sia di glucosio sia di insulina a digiuno.
Dosi più elevate di statine (20 mg) sono associate ad alte concentrazioni di glucosio a digiuno e insulina a digiuno rispetto a dosi più basse (5 mg).
Tre studi hanno valutato inoltre il legame tra l’uso di statine e la sensibilità all’insulina, scoprendo che l’uso del farmaco influisce negativamente.
Anche in questo caso, l’associazione tra statine e insensibilità all’insulina è dose-dipendente, con dosi più elevate associate a una maggiore insensibilità all’insulina rispetto a dosi più basse.
Per finire, otto studi hanno mostrato che gli utenti utilizzatori di statine sono a più alto rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 rispetto a chi non le utilizzava.
Il rischio di sviluppare diabete di tipo 2 varia tra il 3,4% e il 44% tra gli utilizzatori di statine, mentre tra gli utenti non utilizzatori varia tra l’1,2% e il 5,8%.
Come era intuibile, anche qui l’associazione tra l’uso di statine e il rischio di diabete di tipo 2 incidente è dose-dipendente, con dosi più elevate (20 mg) associate a un rischio maggiore rispetto a dosi più basse (5 mg).
Secondo quattro di cinque studi, il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 incidente è più elevato con statine quali atorvastatina, fluvastatina, pravastatina, rosuvastatina, lovastatina e simvastatina rispetto ad altri tipi di statine come pitavastatina.
Tuttavia, uno studio (Ahmadizar et al.) ha riportato risultati contrastanti.
Secondo questo studio, l’aumento del rischio di diabete di tipo 2 incidente è indipendente dai tipi di statine.
Infine, la probabilità di sviluppare il diabete è notevolmente maggiore negli individui che usano statine per periodi medi (31-365 giorni) o più lunghi (>365 giorni) rispetto a quelli che li usano per brevi periodi (<31 giorni).
In conclusione, la presente revisione sistematica fornisce prove convincenti che le statine sono significativamente associate a una diminuzione della sensibilità all’insulina, riducono il controllo glicemico ed elevano i livelli di glucosio a digiuno indipendentemente dal tipo di statina utilizzata.
Questi risultati hanno importanti implicazioni cliniche per gli operatori sanitari nella gestione dei pazienti con colesterolo alto: le statine sono associate ad un aumento della possibilità di sviluppare una forma di diabete, il quale è esso stesso uno dei fattori principali delle patologie cardiovascolari (e di incremento dei casi di demenza e Alzheimer).
Ogni paziente va valutato molto attentamente e ponderato il rapporto rischi/benefici, affinché la terapia farmacologica sia effettivamente necessaria e mirata a casi ben specifici e non agire indiscriminatamente “come da linee guida”.
Agire sugli stili di vita è fondamentale, per tutti. Questa è la vera prevenzione.