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TERAPIE DOMICILIARI COVID-19

TERAPIE DOMICILIARI COVID-19
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Il TAR del Lazio ha annullato il contenuto della nota ministeriale con la quale, in merito alla gestione domiciliare dei pazienti con infezione Covid-19, si prevede una “vigile attesa” e la somministrazione di Paracetamolo (Tachipirina).

Curare il Covid a domicilio è possibile e con farmaci di uso comune, conosciuti da decenni, come i Fans (farmaci antinfiammatori non steroidei), ai quali appartengono molecole come l’ibuprofene (Brufen), la nimesulide (Aulin) e l’indometacina (Indoxen).

Nei primi 2-3 giorni il Covid-19 è in fase di incubazione: la persona non presenta ancora sintomi.

Nei 4-7 giorni successivi, la carica virale aumenta facendo comparire i primi sintomi (tosse, febbre, stanchezza, dolori muscolari, mal di gola, nausea, vomito, diarrea).

Intervenire in questa fase, iniziando a curarsi a casa e trattando il Covid-19 come si farebbe con qualsiasi altra infezione respiratoria, ancora prima che sia disponibile l’esito del tampone, può aiutare ad accelerare il recupero e a ridurre l’ospedalizzazione.

Occorre quindi intervenire tassativamente nelle prime 72 ore dall’insorgere dei sintomi.

In questo modo si azzera il rischio di ospedalizzazione.

Il protocollo elaborato dall’Istituto Mario Negri basatosi su uno studio pubblicato sul Lancet (1) prevede l’utilizzo precoce della nimesulide (Aulin) e una precoce somministrazione per inalazione di budesonide, un farmaco che contiene una piccola quantità di cortisone, riducendo notevolmente sia la probabilità di manifestazioni gravi della malattia sia il tempo di risoluzione dei sintomi.

Un altro studio (2) retrospettivo pubblicato sulla rivista di medicina generale peer-reviewed Medical Science Monitor a firma del professore Serafino Fazio (componente del Consiglio scientifico del Comitato cura domiciliare Covid-19, già professore di Medicina Interna all’Università degli Studi di Napoli Federico II e specialista in medicina interna e cardiologia, con alle spalle circa 150 pubblicazioni sulle più importanti riviste scientifiche, tra cui Nature e New England Journal of Medicine) ha evidenziato l’efficacia delle cure precoci.

Lo studio ha preso in considerazione 158 pazienti con sintomi da Covid (per esempio, febbre, tosse, mal di gola, mal di testa, raffreddore, perdita di gusto o olfatto) che hanno chiesto un supporto, in quanto abbandonati a sé stessi o lasciati in vigile attesa spesso con la sola indicazione di prendere il paracetamolo. Questi sono stati tutti trattati tra novembre 2020 e agosto 2021, senza aspettare la positività al tampone, con un protocollo di cura basato su quattro farmaci:

  • indometacina, un antinfiammatorio con azione antivirale;
  • un nutraceutico a base di quercetina ed esperidina;
  • un antiaggregante, acido acetilsalicilico a 100 mg;
  • un protettore gastrico, l’omeprazolo.

 Con questi farmaci, intervenendo precocemente sono state evitate le ospedalizzazioni.

Dai calcoli si è scoperto che per ogni giorno di attesa il rischio di aggravamento aumentava di 4 volte.

I pazienti sono stati monitorati più volte al giorno con misurazione della temperatura e della saturazione di ossigeno.

Va aggiunto che nei casi di aggravamento della malattia (per il gruppo trattato dopo le 72 ore) sono stati usati anche azitromicina in caso di sovrainfezione batterica, eparina a basso peso molecolare per inibire la coagulazione del sangue e desametasone (cortisone).

Quando i malati sono guariti e si sono negativizzati al tampone, sono stati eseguiti accertamenti, con verifica del D-dimero e la radiografia del torace.

Ben 22 del gruppo trattato dopo le 72 ore aveva avuto il D-dimero aumentato rispetto a soli 2 del primo gruppo.

Gli esiti cicatriziali alla RX del torace sono stati messi in evidenza in 30 su 73 pazienti del secondo gruppo (il 46%) rispetto a uno solo nel primo.

L’abbinamento delle tre sostanze, l’indometacina, l’esperidina e la quercetina, svolge il compito di fermare il virus sulle mucose e impedire che faccia danni all’organismo e in particolare eserciti l’azione trombotica attraverso la Spike.

L’esperidina, dicono alcuni studi, si va a legare sulla Spike e la quercetina andrebbe, come l’indometacina, a bloccare il recettore ACE2, che è la porta di ingresso principale che il virus utilizza per infettare la cellula.

L’acido acetilsalicilico, eventualmente supportato da un protettore gastrico, l’omeprazolo, esercita un effetto, otre che antinfiammatorio, antiaggregante; il virus si lega ai recettori ACE2, di cui le piastrine sono ricchissime, e la conseguenza di ciò è che queste diventano iperaggreganti con la possibiltà , di formare trombi piastrinici, riscontrati nelle autopsie.

La cura va proseguita per 8-10 giorni, o meglio, prolungata pe almeno quattro giorni dopo la scomparsa dei sintomi.

In un prossimo articolo parleremo di idrossiclorochina e ivermectina:  i farmaci “oscurati”.

 

Fonte:

  1. Fredy Suter, Elena Consolaro, Stefania Pedroni, Chiara Moroni, Elena Pastò, Maria Vittoria Paganini et al. – A simple, home-therapy algorithm to prevent hospitalisation for COVID-19 patients: A retrospective observational matched-cohort study – Open AccessPublished:June 09, 2021DOI:https://doi.org/10.1016/j.eclinm.2021.10094
  2. Serafino Fazio, Paolo Bellavite, Elisabetta Zanolin, Peter A. McCullough, Sergio Pandolfi, Flora Affuso. “Retrospective Study of Outcomes and Hospitalization Rates of Patients in Italy with a Confirmed Diagnosis of Early COVID-19 and Treated at Home Within 3 Days or After 3 Days of Symptom Onset with Prescribed and Non-Prescribed Treatments Between November 2020 and August 2021”. Med Sci Monit In Press; DOI: 10.12659/MSM.935379