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VITAMINA D: ALZARE I DOSAGGI RACCOMANDATI E PERSONALIZZARLI

VITAMINA D: ALZARE I DOSAGGI RACCOMANDATI E PERSONALIZZARLI
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Due recenti studi sulla vitamina D stanno mettendo in forte crisi la validità dei dosaggi raccomandati dalle linee guida.

Dotata di vere e proprie caratteristiche pro-ormonali, la vitamina D interagisce con vari recettori nucleari situati nelle cellule di moltissimi tessuti nell’organismo, espletando svariate funzioni biologiche.

Gli autori delle ricerche sottolineano come 600-800 UI non sono in grado di alzare i livelli sierici di vitamina D in ogni soggetto partecipante, non offrendo quindi una potenziale protezione cardiovascolare.

È stato dimostrato che bassi livelli di vitamina D sono associati a un rischio maggiore di incorrere in un infarto o ictus, è importante perciò verificare se una ottimale integrazione può entrare a far parte di un efficace protocollo preventivo.

Gli studi sono stati presentati in anteprima a Filadelfia, durante le Scientific sessions dell’American heart association, del 12 e 13 novembre 2023.

I pazienti in questi studi sono stati arruolati in uno studio clinico randomizzato che valuta se il raggiungimento di un livello ideale di vitamina D attraverso una gestione personalizzata dell’integrazione, comporterà la riduzione degli esiti correlati al sistema cardiovascolare.

Nella prima analisi dello studio, 632 pazienti sono stati stratificati in due gruppi, ciascuno dei quali ha ricevuto una raccomandazione generale per il trattamento con vitamina D con il proprio medico; oppure un trattamento mirato (personalizzato) di vitamina D.

L’obiettivo era aumentare i livelli di 25-idrossivitamina D (25[OH] vit D) a più di 40 ng/mL, che era considerato il livello ottimale in questo studio.

Per i pazienti sottoposti al trattamento mirato, la loro integrazione si basava su un algoritmo di dosaggio.

Ogni tre mesi i soggetti sono stati valutati e ricevevano l’eventuale aggiustamento del dosaggio, fino a quando i livelli erano superiori a 40 ng/mL.

Se erano al di sopra di quel livello, non ricevevano alcun trattamento aggiuntivo e tornavano ogni anno per una rivalutazione.

Dei 316 partecipanti al trattamento, quasi il 90% ha richiesto un certo livello di aggiustamento del dosaggio di vitamina D.

Di questi, l’86,5% ha richiesto più di 2.000 UI al giorno e il 14,6% ha richiesto più di 10.000 UI al giorno.

Inoltre, meno del 65% ha raggiunto livelli superiori a 40 ng/mL a tre mesi, mentre il 25% dei pazienti ha richiesto sei mesi o più di titolazione della dose.

Concludendo, quello che si evince finora è che non si può semplicemente dire a qualcuno di assumere una “certa” dose di integratore e mantenerla così nel tempo, senza verifiche di efficacia.

Ognuno metabolizza diversamente, in base alla sua morfologia, età, alimentazione, razza, sesso, assunzione di farmaci, ecc…

Sono quelli che vengono definiti i fattori confondenti, che hanno sicuramente invalidato alcune delle precedenti ricerche ove non si trovava alcun beneficio alla salute del cuore con un dosaggio definito e valido per tutti i partecipanti.

Se vogliamo cogliere tutti i potenziali benefici di una integrazione di vitamina D, misuriamo costantemente i valori e adeguiamo di conseguenza l’assunzione (personalizzazione dell’approccio).

Fonte: Intermountain Health